Ed era Maggio e come ogni anno nel pomeriggio ,dopo la piccola pennichella, ci si incontrava dalla signorina Addolorata. Tutti i ragazzi del circondario ,vi posso assicurare che erano proprio tanti,si munivano di sedia e verso le ore16 raggiungevano la casa della suddetta signorina per cantare e pregare al cospetto della Madonnina posta su un tavolo adibito ad altare e addobbato con rose, fresie ed ogni altro tipo di fiore che ognuno si fregiava di donare; tutto ciò per tutto il mese comprese le Domeniche. I canti che si sentivano riecheggiare fra le viuzze erano un attrazione per i ritardatari ,che seguendo il suono raggiungevano la casa e si univano a quei canti. Con l' arrivo delle belle e lunghe giornate si potevano tranquillamente svolgere le diverse attività. Una cosa che ricordo con molta allegria era la raccolta a giorni alterni dei capperi .Ci si recava in campagna dove si trovavano delle piante enormi di capperi.Erano delle piante rigogliose e generosissime poiché davano tanto frutto per più di tre mesi.A volte le foglie della pianta erano infestate da piccoli vermi verdi che noi ci divertivamo a far camminare sulle mani.
La raccolta durava un paio di ore e noi con le mani piene di capperi versavamo nel grembiule di nonna Pina che puntualmente si complimentava ed incoraggiava a prenderne di più e come se ci facesse fare una sorta di gara, senza premio finale se non il ghiacciolo comprato al bar Aurora.
Tornati a casa la nonna deponeva il verde raccolto in una grande ciotola, li lavava,li passava in un colapasta,prendeva una grossa "capasa"(un contenitore di terracotta smaltato) e alternava i capperi ad una manciata di sale via via finché non finivano i capperi, concludeva con il sale ed aggiungeva un poco di acqua che avrebbe aiutato i capperi a conservarsi per tutto l' anno senza incorrere in muffe e a non avere un sapore molto salato. Che gustosi che erano. Il sugo alla pizzaiola con i suoi capperi era una delizia.
SUGO ALLA PIZZAIOLA
Ingredienti:
olio extra vergine di oliva
uno spicchio di aglio
un ciuffo di prezzemolo
pomodori,pelati passati
una scatola di tonno
una manciata abbondante di capperi
un pizzichino di sale
un pizzico di pepe
PROCEDIMENTO
Versare l'olio nella pentola ,l aglio, i capperi ,
il prezzemolo,il tonno,far cuocere pochi minuti,
aggiungere il pomodoro, salare, pepare.
Far cuocere per mezza ora
Condire la pasta( meglio se spaghetti)
e spolverare sopra un poco di mollica fritta.
(mollica fritta :mettere un filo d'olio in un pentola aggiungere un poco di pan grattato e far rosolare a fuoco medio.)
lunedì 23 marzo 2020
sabato 16 giugno 2018
Grazie dei fiori
In Primavera il terrazzo di nonna Pina era un tripudio di colori di piante e di fiori.
Lei curava con molta passione ogni piccola pianta, le aveva collezionate gradatamente prendendo dei pezzi qua e là piantandoli nei vasi, dopo averli tenuti in acqua aspettando che mettessero le radici.
Ogni qualvolta andavamo con il nonno nel bosco (il bosco di Bottari sulla provinciale Francavilla-Villa Castelli, un boschetto che all'epoca era aperto al pubblico) mentre lui cercava i funghi, noi e nonna Pina giravamo fra il verde del bosco individuando dove prelevare la terra da mettere in un sacchetto che sarebbe servita per rinvasare le piante.
Fra i vari arbusti vi erano dei piccoli getti di felce e pungitopo che nonna Pina, aiutandosi con un coltello, prelevava avvolgendo le radici con della terra ed uno straccio umido annodato intorno ad esse; al ritorno le avrebbe piantato in qualche vaso rimasto vuoto o accanto a qualche altra pianta così (a suo dire) si sarebbero fatte compagnia.
Sul terrazzo di casa il nonno aveva creato con delle assi di legno fissate al muro una sorta di mensoloni sui quali la nonna aveva posto tanti vasi di coccio con all'interno la terra del bosco, le piantine e le talee che aveva racimolato qua e là. Aveva le più svariate begonie, ora quasi introvabili, il cuore dello studente, la pelosa, l'argentata, a fiorellini, e poi ancora l'ombrellino cinese, la musa,il pungitopo, la felce, i garofani americani, le fiumane, la musa, i narcisi, i tulipani, le calle, rosmarino, salvia, ruta e basilico. Insomma in quel poco spazio vivevano i giardini incantevoli di nonna Pina. Aveva messo i bulbi delle calle all'interno di un "cofano" (vecchio bucataio) fra tutte le piante e i fiori che raccoglieva dal suo giardino esse hanno avuto una importanza rilevante nel percorso religioso di noi ragazzi poiché alla prima comunione fra il cero ed il nastro che avevamo tra le mani emergeva sempre la candida corolla col giallo pistillo sul suo scettro verde. Quanta eleganza in un unico fiore.
Che bei ricordi!
Nonna Pina ci manchi.
Lei diceva che il segreto per un pollice verde d'eccellenza, oltre alla consueta routine di giardinaggio, era quello di parlare e coccolare le piante e lo faceva sistematicamente. Spesso mi rimproverava dicendo: "Tu no li uè beni alli chianti eccu piccè ti seccunu" e non aveva torto ripensandoci.
La cosa strana era che lei non metteva nessun fertilizzante ed aveva sempre piante rigogliose. Dedicava loro il suo tempo libero, tanto è vero che se non era in casa sicuramente era sul terrazzo, lo sapevano tutti. Dopo tanti anni cerco di mettere a frutto tutti i suoi consigli provo a parlare con le piante ma, probabilmente, le parole non le dico con la stessa intensità.
Il mio pollice non è verdissimo ma se non altro non è marrone come prima.
sabato 28 aprile 2018
La verza accomodata
Il nonno Nele nel piccolo orticello in contrada Padula Pagliarone piantava tante verdure partendo dal seme
Ogni giorno si recava con il motorino per controllare lo stato di salute delle nuove creature per zappare intorno o per annaffiare, seguendo passo passo la loro crescita.
Lui lo faceva con passione ed aveva molta pazienza.
I ragazzi, le volte che andavano insieme a lui, avevano l'impressione che le piante non crescessero mai.
Il tempo passava ed ecco che la pazienza veniva premiata quel seme che era diventato piantina ora era una pianta rigogliosamente grande.
Una delle verdure che nonno Nele preferiva era la Verza; era affascinante passare fra le grosse piante che avevano delle foglie enormi dalle tante sfumature: quelle esterne color verdone, il cuore della pianta, invece, color verdino e quest'ultima era la parte che si recideva per essere utilizzata in cucina.
Nonno Nele portava a casa le verze e nonna Pina prendeva quelle piante grosse con piacere.. Ricordo che Lei aveva una sorta di menù fisso della settimana con pochissime varianti: il Lunedì, il Mercoledì ed il Venerdì legumi o minestrone oppure verdura al forno, invece, il Martedì ed il Giovedì pasta con il sugo, il Sabato brodo (in inverno) o patate lesse ad insalata(l'estate). Il Venerdì (se c'erano le verze) preparava "li verzi ssituti" fatte con sugo e pancetta di maiale e se ciò coincideva con il giorno del pane fatto in casa appena sfornato, la scorpacciata era garantita.Quando nonna Pina cucinava,
non c'era l'alternativa, tutti mangiavamo la stessa pietanza che piacesse o no ed in questo io non ho seguito per niente le sue orme poiché per ogni componente preparo una cosa diversa, lo so che è sbagliato ma,persevero.
Ritornando a nonna Pina prendeva le grosse verze, le mondava eliminando le grandi e grinzose foglie esterne, dalle quali si sprigionava un odore intenso, staccava le foglie più tenere tagliandole a metà; il torsolo che rimaneva non lo buttava ma, lo liberava della corteccia più dura e lo distribuiva a chi ne voleva questo torsolo aveva un sapore leggermente piccante ma gustoso. Proseguiva lavando ben bene la verdura sbollentandola in abbondante acqua salata.ricordo i super pentoloni dove solitamente cuoceva sul fuoco nel camino, in una casseruola dal manico lungo preparava un sugo con la pancetta,una volta che era tutto pronto in una grossa teglia sistemava la verza, aggiungendoci una grossa manciata di formaggio grattugiato e copriva con abbondante sugo ed i pezzi di pancetta li sistemava sopra aggiungeva un poco di acqua di cottura, quel tanto che bastava, ed infornava.E' inutile dire che l'odore inondava la cucina e l'acquolina in bocca non si faceva attendere.Ho usato la stessa ricetta ma, vi dico che non ha lo stesso sapore. Pazienza!
Io ve la scrivo, provatela e poi fatemi sapere.
"VERZI SSITUTI"VERZA AL FORNO
Due grosse verze,
mezzo kg di pancetta di maiale,
due kg di pomodori pelati,
formaggio grattugiato a piacere.
olio evo, mezzo bicchiere di vino bianco,
sale.
ESECUZIONE
Prendete le verze liberatele delle foglie esterne e grinzose,tagliate a metà le restanti (non troppo piccole poiché potrebbero sbriciolarsi durante la bollitura) liberatele della parte più callosa,terminata la mondatura, lavatela in abbondante acqua, lasciatela cinque minuti in ammollo con un pizzico di bicarbonato poi risciacquatela.fatela scolare, nel frattempo mettete a bollire dell'acqua,nell'attesa procedete alla preparazione del sugo ponendo in una casseruola l'olio con uno spicchio di aglio e la pancetta di maiale tagliata grossolanamente dopo che si è rosolata aggiungere mezzo bicchiere di vino bianco e a completa vaporizzazione aggiungete i pomodori pelati (se non vi piacciono i pezzi passateli prima in un passino) il sale e far cuocere per una ora, ora torniamo alla verza calatela nell'acqua salata e bollente giusto il tempo di intenerirla, scolatela conservando un pò di acqua di cottura in una ciotola che potrà servire successivamente.
FASE FINALE
In una teglia versate due mestoli di sugo e mezzo mestolo di acqua della verdura,sistemate la verza,i pezzi della carne,una spolverata di formaggio grattugiato, coprite con abbondante sugo e ancora formaggio .Infornare nel forno preriscaldato a 180 gradi per 40 minuti.se si dovesse asciugare molto aggiungete un mestolo di acqua di cottura.servite calda accompagnata con pane casareccio e buon appetito.
Ogni giorno si recava con il motorino per controllare lo stato di salute delle nuove creature per zappare intorno o per annaffiare, seguendo passo passo la loro crescita.
Lui lo faceva con passione ed aveva molta pazienza.
I ragazzi, le volte che andavano insieme a lui, avevano l'impressione che le piante non crescessero mai.
Il tempo passava ed ecco che la pazienza veniva premiata quel seme che era diventato piantina ora era una pianta rigogliosamente grande.
Una delle verdure che nonno Nele preferiva era la Verza; era affascinante passare fra le grosse piante che avevano delle foglie enormi dalle tante sfumature: quelle esterne color verdone, il cuore della pianta, invece, color verdino e quest'ultima era la parte che si recideva per essere utilizzata in cucina.
Nonno Nele portava a casa le verze e nonna Pina prendeva quelle piante grosse con piacere.. Ricordo che Lei aveva una sorta di menù fisso della settimana con pochissime varianti: il Lunedì, il Mercoledì ed il Venerdì legumi o minestrone oppure verdura al forno, invece, il Martedì ed il Giovedì pasta con il sugo, il Sabato brodo (in inverno) o patate lesse ad insalata(l'estate). Il Venerdì (se c'erano le verze) preparava "li verzi ssituti" fatte con sugo e pancetta di maiale e se ciò coincideva con il giorno del pane fatto in casa appena sfornato, la scorpacciata era garantita.Quando nonna Pina cucinava,
non c'era l'alternativa, tutti mangiavamo la stessa pietanza che piacesse o no ed in questo io non ho seguito per niente le sue orme poiché per ogni componente preparo una cosa diversa, lo so che è sbagliato ma,persevero.
Ritornando a nonna Pina prendeva le grosse verze, le mondava eliminando le grandi e grinzose foglie esterne, dalle quali si sprigionava un odore intenso, staccava le foglie più tenere tagliandole a metà; il torsolo che rimaneva non lo buttava ma, lo liberava della corteccia più dura e lo distribuiva a chi ne voleva questo torsolo aveva un sapore leggermente piccante ma gustoso. Proseguiva lavando ben bene la verdura sbollentandola in abbondante acqua salata.ricordo i super pentoloni dove solitamente cuoceva sul fuoco nel camino, in una casseruola dal manico lungo preparava un sugo con la pancetta,una volta che era tutto pronto in una grossa teglia sistemava la verza, aggiungendoci una grossa manciata di formaggio grattugiato e copriva con abbondante sugo ed i pezzi di pancetta li sistemava sopra aggiungeva un poco di acqua di cottura, quel tanto che bastava, ed infornava.E' inutile dire che l'odore inondava la cucina e l'acquolina in bocca non si faceva attendere.Ho usato la stessa ricetta ma, vi dico che non ha lo stesso sapore. Pazienza!
Io ve la scrivo, provatela e poi fatemi sapere.
"VERZI SSITUTI"VERZA AL FORNO
Due grosse verze,
mezzo kg di pancetta di maiale,
due kg di pomodori pelati,
formaggio grattugiato a piacere.
olio evo, mezzo bicchiere di vino bianco,
sale.
ESECUZIONE
Prendete le verze liberatele delle foglie esterne e grinzose,tagliate a metà le restanti (non troppo piccole poiché potrebbero sbriciolarsi durante la bollitura) liberatele della parte più callosa,terminata la mondatura, lavatela in abbondante acqua, lasciatela cinque minuti in ammollo con un pizzico di bicarbonato poi risciacquatela.fatela scolare, nel frattempo mettete a bollire dell'acqua,nell'attesa procedete alla preparazione del sugo ponendo in una casseruola l'olio con uno spicchio di aglio e la pancetta di maiale tagliata grossolanamente dopo che si è rosolata aggiungere mezzo bicchiere di vino bianco e a completa vaporizzazione aggiungete i pomodori pelati (se non vi piacciono i pezzi passateli prima in un passino) il sale e far cuocere per una ora, ora torniamo alla verza calatela nell'acqua salata e bollente giusto il tempo di intenerirla, scolatela conservando un pò di acqua di cottura in una ciotola che potrà servire successivamente.
FASE FINALE
In una teglia versate due mestoli di sugo e mezzo mestolo di acqua della verdura,sistemate la verza,i pezzi della carne,una spolverata di formaggio grattugiato, coprite con abbondante sugo e ancora formaggio .Infornare nel forno preriscaldato a 180 gradi per 40 minuti.se si dovesse asciugare molto aggiungete un mestolo di acqua di cottura.servite calda accompagnata con pane casareccio e buon appetito.
sabato 27 gennaio 2018
Pettole e sannachiutuli di nonna Pina
Lo scandire del tempo lo si poteva distinguere anche dai vari cibi che si preparavano. Era autunno inoltrato se si cucinava la zucca, la verza, la catalogna, era vicino l'inverno se si cominciava a friggere le pettole. Per la vigilia di Natale era, e lo è tuttora, un dovere impastare "li pettuli e li sannacchiutuli" tutto rigorosamente fritto in abbondante olio di oliva.
La vigilia dell'Immacolata nonna Pina tirava fuori dal suo cartone originale lo storico albero di Natale, prendeva dal ripostiglio gli addobbi e riempiva l'albero con le palline variopinte glitterate in vetro soffiato, con i ganci in metallo, che risalivano agli anni cinquanta.
Le sistemava sui rami assottigliati dal tempo, terminate le palline girava intorno all'albero prima le luci, erano delle piccole lanternine con all'interno delle lucette che si accendevano e spegnevano attraverso un intermittente che si poneva sulla presa, in ultimo delle ghirlande di filo argentato o rosso, che completavano l'albero di Natale. Sulla base preparava una piccola grotta e un giaciglio di paglia che sarebbe servito ad accogliere la natività. Finalmente era pronto lo accendeva collegando la spina alla presa controllando che tutto fosse a posto. Il primo passo era fatto.
Per scelta la nonna non faceva le pettole per la vigilia dell'Immacolata poiché,pur non essendo superstiziosa, da quando una vigilia nonno Nele finì, in ospedale (a quei tempi era raro ricoverarsi se non per cose gravi) lei le pettole le impastava la prima volta solo per la vigilia di Natale. Su questa data era irremovibile.
Il ventiquattro di Dicembre lei si alzava all'alba ed impastava "li sannacchiutuli" una sorta di gnocchi con l'impasto dei taralli al pepe, però fritti; preparava l'impasto sulla spianatoia e lo faceva lievitare in attesa di ciò in una grossa coppa di ceramica impastava le "pettole" (un impasto molliccio di farina acqua sale e lievito). le sbatteva con le mani energicamente le faceva lievitare lentamente una volta pronte ne faceva delle palline stringendo nelle mani bagnate l'impasto molliccio delle pettole facendole cadere nella padella nella quale aveva versato abbondante olio che aveva messo a scaldare faceva delle palline perfette le girava frequentemente e le tirava fuori solo quando avevano un colore ambrato. In un altro recipiente metteva della carta assorbente la stesa che si utilizzava per avvolgere il pane, sarebbe servita ad assorbire l'olio dalle pettole. Quindi tornava all'impasto fatto precedentemente che aveva avuto tutto il tempo di fare la sua lievitazione. Con sapienza e pazienza cominciava a stendere la pasta facendone dei lunghi e stretti cilindri, che tagliuzzava in pezzi da due centimetri. In questa fase coinvolgeva i bambini facendoli cavare con due dita o con i rebbi della forchetta. Una volta finito questo lungo procedimento lei tornava ad accendere sotto la pentola dell'olio e ricominciare a friggere. Finalmente ci si metteva a tavola per il pranzo della vigilia che era a base di verdura" pettole e sannacchiutuli".La sera si mangiava in compagnia e a mezza notte i bambini cantando "Tu scendi dalle stelle" e accendendo le scintille improvvisando una processione con a capo il più piccolo fra i bambini al quale affidavano (scortato dalla nonna) il bambinello di carta pesta poggiandolo sulle sue manine che avrebbe deposto su quel giaciglio di paglia che nonna Pina aveva preparato nella piccola grotta.
RICETTA SANNACCHIUTULI
1 kg di farina
gr 250 di olio di oliva
un bicchiere di vino bianco
un cucchiaio di sale
un pizzico di pepe
gr 20 di lievito di birra (o un pizzico di bicarbonato).
ESECUZIONE
Versare la farina su una spianatoia o altro piano di lavoro mettere il sale il pepe e fare un buco al centro posizionare il lievito sciogliere con il vino tiepido, in un pentolino mettiamo l'olio che faremo scaldare e che aggiungeremo al resto degli ingredienti. Impastiamo tutto stemperando bene bene, fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico una volta che l'impasto è uniforme lo mettiamo a riposare coprendo con una tovaglia ed una copertav( per accelerare la lievitazione) aspettando che il lievito faccia il suo lavoro. Dopo 45 minuti di lievitazione tagliare a pezzi, avendo cura di coprire l'impasto rimanente, stendere facendo dei cilindri lunghi che taglieremo a pezzetti di circa due cm. Dopo questa operazione aiutandosi con l'indice caveremo ogni pezzetto ci si può aiutare anche con i rebbi di una forchetta .Lasciamo lievitare un quarto d'ora e friggere in abbondante olio oliva caldo non toccarli fino a che non salgono a galla girarli,be aiutandosi con una schiumarola tirarli fuori mettendoli in una coppa foderata di carta assorbente in modo che si assorba l'olio in eccesso. Si possono mangiare sia caldi che freddi.
La vigilia dell'Immacolata nonna Pina tirava fuori dal suo cartone originale lo storico albero di Natale, prendeva dal ripostiglio gli addobbi e riempiva l'albero con le palline variopinte glitterate in vetro soffiato, con i ganci in metallo, che risalivano agli anni cinquanta.
Le sistemava sui rami assottigliati dal tempo, terminate le palline girava intorno all'albero prima le luci, erano delle piccole lanternine con all'interno delle lucette che si accendevano e spegnevano attraverso un intermittente che si poneva sulla presa, in ultimo delle ghirlande di filo argentato o rosso, che completavano l'albero di Natale. Sulla base preparava una piccola grotta e un giaciglio di paglia che sarebbe servito ad accogliere la natività. Finalmente era pronto lo accendeva collegando la spina alla presa controllando che tutto fosse a posto. Il primo passo era fatto.
Per scelta la nonna non faceva le pettole per la vigilia dell'Immacolata poiché,pur non essendo superstiziosa, da quando una vigilia nonno Nele finì, in ospedale (a quei tempi era raro ricoverarsi se non per cose gravi) lei le pettole le impastava la prima volta solo per la vigilia di Natale. Su questa data era irremovibile.
Il ventiquattro di Dicembre lei si alzava all'alba ed impastava "li sannacchiutuli" una sorta di gnocchi con l'impasto dei taralli al pepe, però fritti; preparava l'impasto sulla spianatoia e lo faceva lievitare in attesa di ciò in una grossa coppa di ceramica impastava le "pettole" (un impasto molliccio di farina acqua sale e lievito). le sbatteva con le mani energicamente le faceva lievitare lentamente una volta pronte ne faceva delle palline stringendo nelle mani bagnate l'impasto molliccio delle pettole facendole cadere nella padella nella quale aveva versato abbondante olio che aveva messo a scaldare faceva delle palline perfette le girava frequentemente e le tirava fuori solo quando avevano un colore ambrato. In un altro recipiente metteva della carta assorbente la stesa che si utilizzava per avvolgere il pane, sarebbe servita ad assorbire l'olio dalle pettole. Quindi tornava all'impasto fatto precedentemente che aveva avuto tutto il tempo di fare la sua lievitazione. Con sapienza e pazienza cominciava a stendere la pasta facendone dei lunghi e stretti cilindri, che tagliuzzava in pezzi da due centimetri. In questa fase coinvolgeva i bambini facendoli cavare con due dita o con i rebbi della forchetta. Una volta finito questo lungo procedimento lei tornava ad accendere sotto la pentola dell'olio e ricominciare a friggere. Finalmente ci si metteva a tavola per il pranzo della vigilia che era a base di verdura" pettole e sannacchiutuli".La sera si mangiava in compagnia e a mezza notte i bambini cantando "Tu scendi dalle stelle" e accendendo le scintille improvvisando una processione con a capo il più piccolo fra i bambini al quale affidavano (scortato dalla nonna) il bambinello di carta pesta poggiandolo sulle sue manine che avrebbe deposto su quel giaciglio di paglia che nonna Pina aveva preparato nella piccola grotta.
RICETTA SANNACCHIUTULI
1 kg di farina
gr 250 di olio di oliva
un bicchiere di vino bianco
un cucchiaio di sale
un pizzico di pepe
gr 20 di lievito di birra (o un pizzico di bicarbonato).
ESECUZIONE
Versare la farina su una spianatoia o altro piano di lavoro mettere il sale il pepe e fare un buco al centro posizionare il lievito sciogliere con il vino tiepido, in un pentolino mettiamo l'olio che faremo scaldare e che aggiungeremo al resto degli ingredienti. Impastiamo tutto stemperando bene bene, fino ad ottenere un impasto liscio ed elastico una volta che l'impasto è uniforme lo mettiamo a riposare coprendo con una tovaglia ed una copertav( per accelerare la lievitazione) aspettando che il lievito faccia il suo lavoro. Dopo 45 minuti di lievitazione tagliare a pezzi, avendo cura di coprire l'impasto rimanente, stendere facendo dei cilindri lunghi che taglieremo a pezzetti di circa due cm. Dopo questa operazione aiutandosi con l'indice caveremo ogni pezzetto ci si può aiutare anche con i rebbi di una forchetta .Lasciamo lievitare un quarto d'ora e friggere in abbondante olio oliva caldo non toccarli fino a che non salgono a galla girarli,be aiutandosi con una schiumarola tirarli fuori mettendoli in una coppa foderata di carta assorbente in modo che si assorba l'olio in eccesso. Si possono mangiare sia caldi che freddi.
D
mercoledì 1 novembre 2017
Mele Cotogne e cotognata
Appena arrivava l'Autunno nonna Pina raccomandava al nonno Nele di raccogliere i melograni ma, sopratutto le mele cotogne. Quando arrivava il momento della raccolta il nonno portava in una cassetta di legno quei bei frutti che avrebbe conservato per l'inverno poiché in quella stagione a quei tempi non c'era molta varietà di frutta.
Le mele cotogne di un bel colore giallo chiaro (erano coperte da una peluria che serviva alla conservazione) nonna Pina le poneva in fila su una mensola di legno tenendole ben staccate l'una dall'altra affinché non si intaccassero rischiando di marcire poiché le sarebbero servite per fare il suo famoso decotto nel quale la mela cotogna aveva la sua importanza.
In oltre nelle serate invernali accontentava i nipoti ponendo alcune mele cotogne sotto la cenere calda per un paio di ore per poi toglierle,pulirle con un canovaccio, spellarle e magicamente quel frutto giallo diventato ambrato emanava un profumo che riempiva l'aria le metteva in un piatto con una spolverata di zucchero ed erano pronte per essere divorate, sento ancora vivo nelle narici il profumo di quel frutto antico che mi solletica le papille gustative facendomi venire l'acquolina in bocca al solo pensiero.
Con l autunno e l'arrivo del freddo ci si raffreddava più frequentemente e qualche volta c'era la complicazione della tosse ma, come ho più volte detto i rimedi di nonna Pina erano subito pronti. Preparava il suo "decotto" dosando meticolosamente tutto ciò che avrebbe messo all'interno della pentola che si sarebbe trasformato in un gustoso sciroppo per la tosse. In una pentola versava due litri di acqua,mettendoci dentro un pezzo di mela, una manciata di fichi secchi, una buccia di banana, un bel pezzo di mela cotogna, una manciata di bucce di mandorle, una buccia di arancia, mezzo limone qualche foglia di alloro, una manciata di camomilla. Metteva sul fuoco facendo bollire fino a che il liquido non fosse diventato meno della metà, dopodiché lo faceva riposare, lo filtrava,lo metteva in
una tazza facendolo bere tiepido, al mal capitato, più volte al giorno finché la tosse non sarebbe sparita del tutto.
Era veramente un toccasana.
Un'altro uso che nonna Pina faceva delle mele cotogne era la marmellata"La cotognata" con la preparazione si recuperavano anche i frutti ammaccati recidendo la parte intaccata e salvando il resto avendo cura ti togliere il torsolo e variando leggermente le dosi oltre alla marmellate in barattolo si poteva ottenere quella tagliata a pezzi che si poteva mangiare senza spalmarla poiché era più solida e la si poteva mangiare a pezzi o accompagnata ad un pezzo di formaggio.
In casa di nonna Pina era un continuo lavorio nel quale coinvolgeva sempre gli altri rendendoli partecipi.Oh mamma mia quante buone cose ci hai insegnato!
LA COTOGNATA
1 kg di mele cotogne(già sbucciate e private del torsolo)
400 gr. di zucchero
mezzo litro di acqua.
due chili di mele cotogne, che private della buccia e del torsolo diventeranno all'incirca un chilo di frutto utile, tagliarle a pezzettini,mettere in una pentola aggiungendo l acqua e portandola ad ebollizione,prima a fiamma viva successivamente a fiamma bassa e far cuocere per almeno 40 minuti rimestando di tanto in tanto.una volta che l'acqua si è assorbita tutta aggiungere lo zucchero in un colpo solo rimestando energicamente,continuando a cuocere finché non avrà un bel colore ambrato scuro.Se vi piace trovare pezzettini di frutta invasate, in barattoli di vetro,ancora bollente capovolgendoli dopo averli chiusi ermeticamente, se vi piace omogenea la passate con un passino ed invasate sempre capovolgendoli .Una volta raffreddata. la riponete in un luogo scuro.
Questa marmellata fatta col vecchio sistema della lunga cottura senza aggiunta di pectina durerà per più di un anno senza che si creino muffe.Ottima da servire su una fetta di formaggio pecorino,per le crostate poiché non si scioglie facilmente,per i più svariati biscotti. Poi c'è la cotognata a pezzi ma, la ricetta non la so se qualcuno di voi la conosce e vuole scriverla farebbe cosa molto gradita.
Le mele cotogne di un bel colore giallo chiaro (erano coperte da una peluria che serviva alla conservazione) nonna Pina le poneva in fila su una mensola di legno tenendole ben staccate l'una dall'altra affinché non si intaccassero rischiando di marcire poiché le sarebbero servite per fare il suo famoso decotto nel quale la mela cotogna aveva la sua importanza.
In oltre nelle serate invernali accontentava i nipoti ponendo alcune mele cotogne sotto la cenere calda per un paio di ore per poi toglierle,pulirle con un canovaccio, spellarle e magicamente quel frutto giallo diventato ambrato emanava un profumo che riempiva l'aria le metteva in un piatto con una spolverata di zucchero ed erano pronte per essere divorate, sento ancora vivo nelle narici il profumo di quel frutto antico che mi solletica le papille gustative facendomi venire l'acquolina in bocca al solo pensiero.
Con l autunno e l'arrivo del freddo ci si raffreddava più frequentemente e qualche volta c'era la complicazione della tosse ma, come ho più volte detto i rimedi di nonna Pina erano subito pronti. Preparava il suo "decotto" dosando meticolosamente tutto ciò che avrebbe messo all'interno della pentola che si sarebbe trasformato in un gustoso sciroppo per la tosse. In una pentola versava due litri di acqua,mettendoci dentro un pezzo di mela, una manciata di fichi secchi, una buccia di banana, un bel pezzo di mela cotogna, una manciata di bucce di mandorle, una buccia di arancia, mezzo limone qualche foglia di alloro, una manciata di camomilla. Metteva sul fuoco facendo bollire fino a che il liquido non fosse diventato meno della metà, dopodiché lo faceva riposare, lo filtrava,lo metteva in
una tazza facendolo bere tiepido, al mal capitato, più volte al giorno finché la tosse non sarebbe sparita del tutto.
Era veramente un toccasana.
Un'altro uso che nonna Pina faceva delle mele cotogne era la marmellata"La cotognata" con la preparazione si recuperavano anche i frutti ammaccati recidendo la parte intaccata e salvando il resto avendo cura ti togliere il torsolo e variando leggermente le dosi oltre alla marmellate in barattolo si poteva ottenere quella tagliata a pezzi che si poteva mangiare senza spalmarla poiché era più solida e la si poteva mangiare a pezzi o accompagnata ad un pezzo di formaggio.
In casa di nonna Pina era un continuo lavorio nel quale coinvolgeva sempre gli altri rendendoli partecipi.Oh mamma mia quante buone cose ci hai insegnato!
LA COTOGNATA
1 kg di mele cotogne(già sbucciate e private del torsolo)
400 gr. di zucchero
mezzo litro di acqua.
due chili di mele cotogne, che private della buccia e del torsolo diventeranno all'incirca un chilo di frutto utile, tagliarle a pezzettini,mettere in una pentola aggiungendo l acqua e portandola ad ebollizione,prima a fiamma viva successivamente a fiamma bassa e far cuocere per almeno 40 minuti rimestando di tanto in tanto.una volta che l'acqua si è assorbita tutta aggiungere lo zucchero in un colpo solo rimestando energicamente,continuando a cuocere finché non avrà un bel colore ambrato scuro.Se vi piace trovare pezzettini di frutta invasate, in barattoli di vetro,ancora bollente capovolgendoli dopo averli chiusi ermeticamente, se vi piace omogenea la passate con un passino ed invasate sempre capovolgendoli .Una volta raffreddata. la riponete in un luogo scuro.
Questa marmellata fatta col vecchio sistema della lunga cottura senza aggiunta di pectina durerà per più di un anno senza che si creino muffe.Ottima da servire su una fetta di formaggio pecorino,per le crostate poiché non si scioglie facilmente,per i più svariati biscotti. Poi c'è la cotognata a pezzi ma, la ricetta non la so se qualcuno di voi la conosce e vuole scriverla farebbe cosa molto gradita.
sabato 2 settembre 2017
Dall'orto al forno
A casa di nonna Pina si discuteva delle tante cose futili e di questioni importanti ed ognuno esprimeva il proprio parere o posizione, si ascoltava anche il giudizio dei piccoli, per poi redarguire o in altri casi incitare. A pranzo si era in tanti un minimo di dieci. Nonna Pina cucinava veramente bene e nonostante ciò qualcuno trovava qualcosa da ridire ,lei serafica rispondeva citando il sommo Dante" non ti curar di loro ma, guarda e passa. Ricordo benissimo il giorno delle melanzane ripiene come una giornata impegnativa. Il nonno Nele le raccoglieva il giorno prima, dalle piante alte quasi un metro rigogliosissime poiché l'acqua non mancava e le piante ringraziavano grate, le poneva in una cassetta di legno e le copriva con un sacco di iuta umido affinché mantenessero la loro freschezza evitando di avvizzirsi.
La mattina della preparazione si sistemavano nel piccolo pozzo luce, con una coppa enorme piena di acqua, la cassetta delle melanzane, una vasca con dell'acqua, per lavarle, un tagliere due coltelli uno per il nonno l'altro per la nonna; iniziava così la catena operativa; la nonna lavava le melanzane nella vasca per eliminare i residui di terra, le asciugava con un canovaccio le passava al nonno che le liberava del picciolo le tagliava a metà per poi inciderle e svuotarle completamente della parte bianca che rimetteva in acqua per evitare che diventasse scura, la nonna con il tagliere poggiato sulle gambe, seduta sulla sua mezza sedia da lavoro, tagliuazzava a pezzi piccolissimi l'interno delle melanzane rimettendole in acqua ed andavano avanti così fino a che ne rimanevano tre o quattro da fare; Nonna Pina si alzava sospendendo la collaborazione andava in cucina a preparare il sugo che sarebbe servito successivamente, preparava la pentola per friggere i gusci viola,la pentola per soffriggere l'interno, la teglia dove avrebbe sistemato le melanzane una volta che le avrebbero riempite. Tornava nel pozzo luce dove il nonno nel frattempo aveva completato il resto delle melanzane. Iniziava la fase due: il nonno con le sue grandi mani strizzava il trito liberandolo dell'acqua in eccesso deponendolo in una pentola alta avendo cura di separare i gusci viola mettendoli a scolare in un colapasta. Depositava sul fuoco il tegame facendo evaporare l'acqua, dopodiché aggiungeva l olio caldo scaldato in un pentolino nel quale aveva posto uno spicchio di aglio qualche minuto dopo e scrollava energicamente la pentola, con un movimento di braccia non facile da copiare senza rischiare di bruciarsi, facendo in modo che ciò che stava sul fondo emergesse e ciò che stava sopra andasse sotto, non era ancora il momento di rimestare con il grosso cucchiaio di legno. Nella pentola della frittura nonna Pina ci metteva abbondante olio di oliva aspettava che l olio si scaldasse e cominciava a friggere i "gusci viola" prima a pancia in giù, per evitare che si creasse la condensa all'interno quindi rischiare di scottarsi nel girarle dalla parte opposta; finita questa delicata operazione si passava alla fase successiva.
Nella pentola dove avevano cotto l interno delle melanzane con l'aggiunta dell'olio caldo cominciava a rimestare energicamente col grosso cucchiaio di legno, ricavato da nonno Nele da un ramo d ulivo, riducendo in poltiglia ciò che aveva cotto. Nonna Pina aggiungeva un trito di prezzemolo, uno spicchio di aglio tritato finemente, abbondante formaggio grattugiato, un poco di pan grattato sale,uova, qualche mestolo di sugo e nonno Nele rimestava, quando il tutto era amalgamato passavano alla fase finale il riempimento delle cortecce che stranamente erano sempre il numero giusto per l' impasto, volta per volta le sistemavano sul fondo dell'enorme teglia già irrorata di sugo, terminata anche questa operazione spargevano una bella manciata di formaggio grattugiato le coprivano di sugo e infornavano in forno caldo. Ad orario di pranzo tutti a tavola per divorare le melanzane ripiene e di tutto il lavoro precedente non vi era più traccia.
Ricetta Melanzane ripiene
- 2kg di melanzane
- 150 gr di formaggio grattugiato
- 100 gr. di pan grattato
- 2 uova
- prezzemolo
- aglio
- pepe
- sale
Per il sugo:
- 2 kg di pomodori maturi,
- olio evo
- aglio
- sale q.b.
Esecuzione:
tagliare a metà le melanzane private del picciolo, svuotarle completamente, sminuzzare la parte bianca tenendola coperta di acqua, i gusci poneteli su di un canovaccio ad asciugare, in un tegame mettete un poco di olio evo aggiungendo la parte bianca sminuzzata e lasciatela cuocere finché si sarà appassita salate pepate tritate uno spicchietto di aglio, un ciuffo di prezzemolo rimestate e fate cuocere altri cinque minuti a fuoco vivo, spegnete. In un altra pentola friggete le coppe viola prima da un lato poi dall'altra deponetele su di un piatto avendo cura di mettere della carta assorbente. In una pentola sbollentate i pomodori precedentemente liberati dai semi passateli con un passaverdura, e procedete alla preparazione del sugo, mettendo sul fondo della pentola un poco di olio extra vergine di oliva un pezzettino di aglio ed il pomodoro salare pepare e far cuocere per 30 minuti circa.
Ora si procede aggiungendo, nella pentola dove abbiamo cotto l'interno delle melanzane, il formaggio, il pan grattato, le uova, un mestolo di sugo e rimestando finché non è perfettamente amalgamato il tutto, aiutandosi con un cucchiaio si distribuisce l'impasto dentro gusci fritti deponendoli in una teglia che abbiamo irrorato con il sugo una volta completata anche questa operazione una spolverata di formaggio di nuovo sugo e infornare in forno caldo a 180 gradi per 45 minuti.
venerdì 14 luglio 2017
Vita laboriosa
Come iniziava l'estate nonno Nele abbandonava l'uso della Renault quattro, per utilizzare il mitico motorino, un vecchio Minarelli, per recarsi in campagna in contrada Padula Pagliarone a circa un chilometro dal paese, dove curava il piccolo orticello nel quale piantava diversi tipi di ortaggi. Anche in quella zona, come in contrada Grani, i pozzi erano di acqua sorgiva quindi si poteva coltivare con più facilità poiché l acqua non si comprava ma, la donava il sottosuolo.
Al rientro dalla sua "scampagnata" i ragazzi lo attendevano e non appena sentivano il rombo del motorino lo aspettavano fuori dalla porta di casa per aiutarlo a scendere dal motociclo ciò che aveva portato dalla campagna. Molte volte il nonno portava a nonna Pina un mazzo di rose lilla, pianta che gli era stata portata in dono dai cognati della Svizzera molti anni prima; "la rosa blu". Al nonno, vuoi per la temperatura vuoi per il terreno, dava delle bellissime rose lilla che lui aveva potato ad alberello e fioriva quasi durante tutto l'anno. Nonna Pina era gelosissima di quelle rose difatti non ne regalava neanche una, le divideva in diversi vasi sparsi in tutta la casa.
Oltre le rose il nonno portava verdura o ortaggi a seconda di quello che aveva piantato in quel periodo. Ogni ragazzo consegnava alla nonna il proprio fagotto e non vedeva l'ora di finire il trasporto poiché il nonno ad uno ad uno li avrebbe fatti salire sul motorino, dietro i più grandi, avanti i più piccoli, facendogli fare il giro dell'isolato, tutti aspettavano con gioia il loro turno e lui era felice ma non troppo di poterli accontentare. Si rimaneva a pranzo dai nonni il pomeriggio la pennichella era d'obbligo.
Nel tardo pomeriggio Nonna Pina quando era periodo di fave prendeva la vecchia chianca di Corigliano (in genere usata per pavimentare i solai) le pietre lisce (che negli anni precedenti aveva trovato in riva al mare a Piri Piri scegliendo quelle che erano più maneggevoli) il secchio che conteneva le fave con la corteccia, un altro per le fave decorticate, un grembiule, la mezza sedia che le risultava più comoda poiché le gambe della sedia erano alte la metà di una sedia standard, indossava il grembiule, si sedeva all'aperto si poggiava sulle gambe o su di una sedia la chianca, con le pietre lisce, che servivano per "muzzicà li fai" (decorticare le fave) cominciava ad una ad una a pestare le fave stando attenta a non frantumarle. Il suono o rumore che dir si voglia era ritmico a cadenza sistematica come una musica. (Nonna Pina raccontava che quando era incinta della figlia Graziella aveva fatto giusto in tempo a finire di decorticare tutte le fave inseme ai figli più grandi ed alcuni vicini che l'indomani mattina partorì). Anche i ragazzi aiutavano, ognuno con la pietra in mano a schiacciare prima la parte superiore poi la parte inferiore della fava per poi decorticarle e depositarle nel contenitore. Era un lavoro faticoso ma doveva essere fatto ed in compagnia sembrava molto più leggero. Le fave nonno Nele le aveva piantate in Novembre e raccolto a Giugno. Dopo averle fatte seccare al sole e battute con un bastone per eliminare il baccello, le recuperava mettendole nei secchi in modo da farle decorticare e poi rimetterle al sole, e dopo un'ulteriore pulitura dai residui delle cortecce finalmente potevano essere conservate. Li mettevano in un contenitore di coccio, ben coperte per evitare che il polverino delle fave potesse dare allergia "la foca ti li fai", pronte per essere utilizzate.
Almeno un giorno a settimana nei giorni dispari si portavano in tavola cotte con vari contorni.
Del modo in cui si cuociono le fave ne abbiamo già parlato ma, non dei vari alimenti coi quali si possono accompagnare a partire dalla verdura, selvatica in autunno, rape in inverno, cicoria in estate, i peperoni verdi o i "cornaletti" fritti o con un sughetto leggero, un grappolo di uva nera chiaramente solo in estate, la cipolla affettata condita con olio sale ed aceto"l'acitedda" in primavera quella fresca con le code verdi "la spunsali" nelle altre stagioni quella bianca o la dorata, e del pesce fritto, tutto accompagnato da un buon vino rosso o rosato ovviamente prodotto in casa sempre da nonno Nele (ne parleremo in un prossimo racconto). Oggi tutto questo sembrerebbe indigeribile ma,allora era una normalità, poiché si lavorava fisicamente e non sedentariamente.
Ricetta: peperoni al pomodoro "pipaluri cu lu sucu" (peperoni col sugo)
Ingredienti:
- 1Kg di peperoni verdi
- 1Kg di pomodori
- olio di oliva o di mais per friggere
- uno spicchio di aglio
- 20 gr di olio evo per il sughetto
- un pizzico di sale
Lavare i peperoni per eliminare i residui di terra, asciugarli, liberarli del picciolo aiutandosi con un coltello, mettere in una pentola abbondante olio per friggere, scaldarlo leggermente, successivamente mettere i peperoni e farli rosolare (stando attenti a non scottarsi poiché i peperoni tendono a scoppiettare), in un piatto poniamo un foglio di carta assorbente e deponiamo i peperoni fritti. In una casseruola mettiamo poco olio evo (extra vergine d'oliva )uno spicchio di aglio, anche in camicia se non gradite molto il sapore, lo fate scaldare a fuoco lentissimo aggiungendo subito dopo i
pomodori precedentemente spellati a crudo, cuocere a fiamma viva aggiustando di sale. Una volta che il sughetto è pronto aggiungere i peperoni fritti e farli cuocere ancora per pochi minuti a fuoco lento. Versarli in un piatto e portarli in tavola si possono mangiare sia caldi che freddi.
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